The Iron Throne Il Forum per gli appassionati della mitica saga, "Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco", di George R. R. Martin

Un saluto Jon Arryn

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    00 30/12/2012 21:50
    Ecco qui un pdv che ho iniziato a scrivere praticamente all'inizio della partita appena conclusa, poi per un motivo o per un altro l'ho lasciato a metà, l'ho ripreso e riabbandonato...non riuscivo a trovare il tempo di farlo.
    Ora che di tempo non ne ho comunque, ma spinto dalla bella iniziativa di fufo ho deciso di finirlo in modo di salutare degnamente Jon Arryn, un personaggio che mi ha accompagnato per due anni, un personaggio a cui avrei potuto offrire molto di più, un personaggio che ho amato molto.

    -------------- OLTRE L'ORIZZONTE ------------------------------

    La brezza sulla cima della torre gli scompigliava i capelli. Era un vento freddo, ma non quanto quello che gli accarezzava il volto nelle insonni notti del Nido qualche mese prima.
    Era oramai una settimana che si trovava a Porta Insanguinata.
    Jon fece qualche passo, e si appoggiò ai merli di roccia dell’antica fortezza; aveva chiesto di essere lasciato solo. Mancavano forse una manciata di minuti all’alba e lui voleva godersela in silenzio, con la mente sgombra di pensieri, desiderava condividere la serenità appena riacquistata con il mondo intero, con la sua Valle.


    Si voltò in direzione dei Monti della Luna, i monti dei quali ora lui era l’indiscusso re.
    Si trovò a grattarsi la cicatrice sul dorso della mano sinistra, il segno scuro di una bruciatura, un piccolo prezzo da pagare…il ricordo si fece largo nella sua mente e nel suo cuore.

    Era rientrato da Approdo dopo aver arrestato i rampolli di casata Tyrell per l’alto tradimento di loro padre. Lord Nestor ora indossava la cappa bianca e il processo a Gregor Clegane si era ridotto ad una farsa.
    Era rientrato perché la Valle aveva bisogno di lui. Quella che Maestro Colemon amava chiamare la “questione barbara” aveva subito una battuta d’arresto.
    Alcune settimane prima, l’azione congiunta di Ser Lyn Corbray e Lord Yohn Royce aveva portato alla quanto mai inaspettata cattura di Timett figlio di Timett, il capoclan degli Uomini Bruciati, uno dei più bellicosi e pericolosi capo tribù dei Monti della Luna.
    Timett si era rivelato però degno della sua fama e, anche dopo essere rimasto un’intera settimana a digiuno nella Cella del Cielo, aveva mantenuto un ostinato silenzio.
    Quella sera Lord Jon convocò Ser Vardis e Maestro Colemon nel suo studio privato.
    “Miei signori, forse ho trovato una soluzione per sbloccare la situazione con Timett, non vi nascondo che è una soluzione oltremodo…” Jon smise di parlare per un attimo come se cercasse la parola esatta che esprimesse le sue preoccupazioni “…rischiosa.
    Una soluzione che potrebbe distruggerci come renderci molto più potenti.
    Ho deciso di sfidare Timett.”
    “Mio Lord” lo interruppe il Maestro “credo che le Celle del Cielo possano piegare un uomo sia nello spirito che nel corpo, però” tossicchiò imbarazzato abbassando il volto per guardarsi le punte dei calzari “la prestanza fisica del nostro prigioniero è paragonabile alla vostra di qualche anno fa, ma ora, forse sarebbe come dire…ehm…un azzardo confrontarsi con lui”.
    “Lord Arryn” Vardis poggiò un ginocchio a terra e si premette il pugno destro sul petto, dove erano intessuti un sole giallo, una luna crescente bianca e una stella d'argento poggiati su una banda blu sopra uno scudo bianco. “Di giorno e di Notte la mia vita è vostra, permettetemi di essere la vostra spada in questo scontro. Sarà un onore per me mostrare ad un barbaro il valore di un cavaliere.”
    “Calma signori, non ho mai detto di voler affrontare Timett con l’acciaio in pugno, non sono tanto sciocco; quell’ uomo è un gigante e inoltre ha un terzo dei miei anni…” fece una pausa quanto mai teatrale “…lo sfiderò ad una prova di forza”.
    Lo stupore si disegnò sul volto di Vardis e Colemon; sembrava quasi che avessero visto spuntare un paio di corna da drago dalla fronte del loro Lord, ma prima che potessero far piovere addosso a Jon un fiume di “ma” e di “se” lui li incalzò con la sua idea.
    “Vardis, dai ordine a Mord di servire per l’intera settimana al nostro prigioniero zuppa di farro per due volte al giorno, tra sette giorni che gli venga servita per cena una bistecca di manzo e patate al forno con un abbondante boccale di birra scura.
    Inoltre per la mattina seguente avrei bisogno che nella sala delle udienze ci siano, poste a circa un metro dalla parete Est, due enormi rocce di circa 1200 libre ognuna.” Incalzò eccitato come un bambino, “Maestro Colemon avrei invece necessità che fosse appeso nella sala delle audizioni il quadro di Ser Artys. Inoltre avrei bisogno che venga rispolverata l’antica corona di casata Arryn.”
    “Signore…” i due parlarono all’ unisono.
    Jon scoppiò a ridere. “Non fate domande. Vi prego di eseguire le mie richieste con la dovuta cura, non voglio rovinare la sorpresa neppure a voi. Ora lasciatemi, ci sono particolari che anche io devo mettere a punto.”
    I due lasciarono la stanza ancora pieni di dubbi. Il loro parlottare che andava scemando lungo i corridoi si confuse con il rumore dei loro passi e con i pensieri di Jon.
    Lord Arryn si mise a sfogliare le carte sulla scrivania con fare annoiato, in attesa del colloquio seguente.
    Di lì a pochi istanti entrarono Lady Lysa e Maverik Borrell di Sweetsister, erede del Tre Sorelle.
    Jon fece cenno di sedersi ad entrambi, sua moglie si accomodò sulla sedia di velluto e faggio di sinistra, Maverik fece cadere a terra quella di destra nel tentativo di inchinarsi.
    “Mi scusi mio Lord…” si affrettò a dire imbarazzato; sembrava quasi dovesse mettersi a piangere da un momento all’ altro.
    “Non preoccupatevi Ser Borrell” Jon gli si accostò porgendogli una mano “non c’è bisogno di inchinarsi”.
    Il ragazzo strinse la mano al suo Lord e guadagnò la sedia “grazie mio signore…mio padre vi porta i suoi rispetti.” disse mentre gli avvampavano le guance, e gli occhi si abbassavano rapidamente.
    Era un ragazzo di poco più di vent’anni , grassoccio, e i capelli castani apparivano untuosi.
    Indossava un farsetto verde, che ben si intonava con la pelle abbronzata di chi vive per mare. Il granchio argento cucito sul petto appariva sformato tra i rotoli adiposi del ragazzo.
    Jon si chiese se era stata una scelta giusta, ma dalle informazioni che Maestro Colemon aveva raccolto per lui, questo ragazzo che appariva così goffo e impacciato, sulla tolda di una nave si muoveva sicuro come una pantera-ombra tra le rocce, ed era un capitano impareggiabile, secondo forse solo a Lord Nestor.
    “Tra una settimana sfiderò Timett nella sala del Trono. Solo i Sette Dei conoscono chi tra noi uscirà vincitore e chi sarà sconfitto.”
    “Senza dubbio voi sarete il vincitore, Lord Arryn” lo interruppe il ragazzo.
    “Vorrei avere anche io la vostra sicurezza Ser Maverick, ma ahimè conosco le mie capacità. Comunque quello che vi chiedo è questo. Se le cose dovessero volgere per il peggio, desidero che imbarchiate immediatamente sulla vostra nave mio figlio Robert, Maestro Colemon e una piccola scorta armata, e che partiate alla volta di Grande Inverno nel momento stesso della mia sconfitta. Ci saranno qui sotto a Cielo dei cavalli pronti per voi, usate il cesto per lasciare il castello. La velocità è di massima importanza.” disse guardando il ragazzo paffuto, poi spostò lo sguardo su Lysa e come si immaginava la trovò glaciale.
    “Voi, Lady Lysa, tornerete da vostro padre” aggiunse.
    “Come ordinate” risposero entrambi. La voce di Lysa era priva di qualsiasi inflessione, Jon lo notò.
    “Voi mi onorate mio Lord, Lord Robert viaggerà rapido e al sicuro. Non abbiate nessun timore.” Ringraziò Maverik, con voce ossequiante.
    “Ne sono sicuro Ser Borrell, ora se volete scusarmi avrei bisogno di parlare in privato con mia moglie” concluse Jon, alzandosi dalla sedia per accompagnare il suo ospite alla porta.
    Appena si voltò per tornare verso la propria sedia, si trovò difronte Lady Lysa.
    Era in piedi a gambe larghe, un mano sul fianco e con l’altra puntava l’indice al suo petto.
    “Sei diventato pazzo se credi che lascerò andare nostro figlio da solo a Grande Inverno!!” Jon fu investito come da un fiotto d’acido “E’ malato, piccolo e non può rimanere senza sua madre. E poi cos’è questa storia che vuoi farti ammazzare da quel barbaro” piano piano la voce di Lysa si fece sempre più acuta e stridula “devi essere completamente rimbambito, eri già vecchio quando mi hai sposato e ora sei una cariatide, quel gigante ti farà a pezzi” la voce si ruppe in un singhiozzo convulso “…non ti farò portare via mio figlio… questa volta non farò ciò che mi si chiede di fare…tu non l’hai portato in grembo” si lasciò cadere in ginocchio portandosi le mani al viso “è malato povero piccolo…i lupi, a Grande Inverno ci sono i lupi… Robert piccolo mio…”
    “Lysa credimi…” Jon parlò con voce soffice e si chinò su di lei.
    “Nooooooooooooo!” Il grido della donna lo fece arretrare per un istante. “Non ti voglio credere!” si mise a prendere a pugni il petto di Jon “Non ti farò portare via mio figlio, non mi farò strappare un’altra volta la cosa più importante che ho, l’amore della mia vita, per i vostri sporchi giochi politici!”.
    Lo sputo di lei lo colpì in pieno volto.
    Jon si alzò e si asciugò il volto con il fazzoletto, poi fece qualche passo fino a raggiungere la porta, dando la schiena alla sua sposa.
    “Lysa, tu farai esattamente come ti ho chiesto. Sei una lady, il tuo dovere te lo impone per il bene di Robert e della Valle. Considero chiuso questo discorso. Ora se vuoi seguirmi ti accompagno nelle nostre stanze, dove ho chiesto ti venisse preparato un bagno caldo.
    Lysa si alzò e lo seguì in silenzio. Quel silenzio ostinato che avrebbe tenuto fino al giorno della sfida.
    Al suo rientro nello studio vi trovò Lana, una ragazza graziosa che lavorava al castello.
    “Salve Lord Jon, mia sorella ha completato l’abito che avevate richiesto, se posso permettermelo è davvero splendido, sembra fatto per un Re”.
    “E’ quello che spero…è quello che spero…”
    Lord Jon congedò la ragazza e andò a dormire.

    “Lord Jon, ho fatto recapitare il quadro nella sala delle udienze della fortezza Neve e come da voi richiesto l’ho fatto appendere sopra al trono.
    Inoltre ho fatto lucidare la corona di ferro; è nel vostro studio. Potrei chiedere delle delucidazioni per quanto riguarda la sfida di domani?” Colemon cambiò il peso da una gamba all’altra e si lisciò con le mani le grinze del vestito.
    “Avete ricevuto le conferme dei miei alfieri?” chiese Jon tenendo un tono di voce alto per sovrastare il gracchiare dei corvi.
    La voliera era sempre pervasa da un odore acre e da un rumore costante, maestro Colemon amava stare in quel posto con i corvi. Persino negli studi a Vecchia Città si era distinto per la capacità di addestrare e di prendersi cura di quegli uccelli.
    “Certo, ogni casata della Valle ha mandato un rappresentante per presenziare alla sfida di domattina. A proposito della sfida, posso chiedere a cosa servono le rocce che avete fatto portare nella sala del trono?”
    Colemon incalzò la domanda, alzando gli occhi dallo scrittoio.
    “Domani sfiderò Timett ad un semplice confronto, entrambi cercheremo di spostare una roccia, chi riuscirà ad allontanarsi di più dal punto di partenza avrà vinto.“
    “Credo che sia quanto mai un azzardo mio Signore, la forza di Timett è conosciuta ben oltre i confini della Valle.” Commentò preoccupato l’uomo in grigio.
    “So che è un azzardo, è per questo che vi ho chiesto nel caso di sconfitta di portare a Grande Inverno mio figlio e di prendervi cura di lui. A proposito” aggiunse Jon estraendo una lettera da una tasca del vestito e porgendola a Colemon, “ questa è per Ned.”
    “Come desiderate mio Lord”
    Uscendo dalla stanza Lord Arryn si voltò indietro e aggiunse sorridendo: “Non sono arrivato alla mia età combattendo sfide perse in partenza, non preoccupatevi.”

    Timett era al centro della Sala Alta. Alla sua destra, davanti alle Porte della Luna, c’erano due grandi rocce di granito, alle sue spalle i rampolli delle più importanti casate della Valle che indossavano i loro completi migliori.
    Ciò che più impressionava però era la figura seduta sul trono di legno bianco, Lord Jon Arryn Signore del Nido dell’Aquila, Protettore della Valle e del Est.
    Lord Jon sedeva silente fissando il barbaro con la spada di traverso sulle ginocchia come soleva fare Lord Stark.
    Aveva alle spalle un grande arazzo che rappresentava Ser Artys, “The Winged Knight”, uno dei condottieri dei cavalieri Andali che approdarono sulle Dita. Egli li condusse in una battaglia contro i Primi Uomini delle Montagne. La leggenda narra che volò fino alla cima della Lancia del Ciclope a cavallo di un falco gigante per uccidere il Re delle Montagne.
    Lord Arryn indossava lo stesso abito dell’eroe alle sue spalle, un farsetto azzurro con sopra un cotta di maglia di anelli bianchi, sul petto una splendida aquila le cui piume erano schegge di zaffiro, che ad ogni movimento sembravano donare vita all’animale.
    Sulla testa indossava un anello di ferro; non era lavorato, non aveva né gioielli né fronzoli. Era la corona del Re della Montagna, la corona di un Re deciso e forte, di un Re imperituro, di un Re che era parte stessa della montagna.
    Scostò la sua spada, una lama lunga a doppio taglio, finemente istoriata in argento con il profilo di una catena montuosa, il pomello a forma di testa di falco e la guardia di ali ricurve, e si alzò in piedi provocando il silenzio nella sala.
    “Timett figlio di Timett, signore degli uomini Bruciati, hai detto che avresti parlato solo davanti ad un altro capo.
    Eccomi davanti a te, sei pronto ora a rispondere alle mie domande?”
    “Vieni qui a farti sbudellare, vecchio.” Il barbaro fece seguire le sue parole da un gesto osceno.
    “Timett figlio di Timett cosa sai del tentato assassinio di Lady Anya Waynwood?”
    Il barbaro proruppe in una fragorosa risata: “Non sono stato io, se ero io lei morta. Se tu eri lei, tu morto, vieni vicino vecchio che io dico meglio!”
    Dalla folla dei presenti si alzò un brusio, c’era chi insultava il barbaro, chi si proponeva per uccidere il vile; la sala delle audizione sembrava essersi trasformata nel Fondo delle Pulci.
    Lord Jon era pronto ad una simile reazione, non si sarebbe aspettato niente di meno dall’uomo che gli si stagliava davanti.
    Timett era un uomo immenso, i suoi muscoli erano impressionanti, anche se la cosa che più di tutto rendeva spaventoso il barbaro era l’orbita vuota e bruciata del suo occhio sinistro: la cavità nera pareva un pozzo senza fondo, non usava nulla per coprire quell’atroce menomazione che si era inflitto da solo per dimostrare il suo coraggio.
    La permanenza nella Cella del Cielo non sembrava avergli provocato grandi disagi, anche per questo Lord Arryn stimava la persona che aveva davanti.
    Non erano tanto le privazioni fisiche la vera sfida della terribile Cella del Nido, ma era la determinazione che vacillava: dopo qualche giorno si iniziava a sentire quella che veniva chiamata “la voce di Lady Alyssa”, una voce che invitava a saltare, che invogliava a sporgersi verso il baratro, che molto spesso veniva ascoltata.
    Lord Jon alzò la mano e sulla stanza calò il silenzio, fece qualche passo e si piazzò ad un braccio dal barbaro in catene.
    “Timett figlio di Timett, Mano Rossa degli Uomini Bruciati, io, Jon Arryn, figlio di Jasper Arryn, Signore di Nido dell’Aquila e della Valle, Re della Montagna ti sfido ad una prova di forza.
    Chi di noi vincerà diventerà il capo del Clan dell’altro, di tutte le sue terre e di tutte le sue genti.
    Mi hai capito Timett? Se riuscirai a sconfiggermi, tu sarai il Re della Montagna, se vincerò io, sarò “Mano Rossa” degli Uomini Bruciati e tu mi dovrai il tuo rispetto.”
    La sala rimase in un silenzio attonito.
    “Mi hai capito Timett?” Jon alzò la voce per farsi sentire dall’intera sala, “Allora accetti la sfida o devo considerarti un vigliacco?”
    Il barbaro parve essere diventato di sale, rimase lì immobile per quello che parve essere un intero ciclo di luna, il suo sguardo calava dall’alto su quello del Lord della Valle; l’uno si perdeva in quello dell’altro.
    Qualunque pensiero attraversasse la mente del gigante non si leggeva sul suo volto.
    Nessuno osava respirare, tutto era quieto come nell’occhio del ciclone.

    Maestro Colemon guardava il suo Lord, era lì in piedi ritto come una statua, vestito di morbide stoffe, ricoperte da una resistente cotta di maglia: sembrava un eroe delle leggende.
    Il vecchio sapiente si augurava fosse un eroe, perché alla fine gli eroi hanno sempre la meglio, perché la fortuna sorride agli eroi e guardando il gigante in catene che si opponeva al suo Signore, Lord Jon avrebbe avuto bisogno che la fortuna fosse tutta dalla sua parte.
    Il viso di Lord Jon era però calmo e rilassato, lo conosceva da molti anni, per questo Colemon sperava di vedere una luce in questa che sembrava essere una delirante follia.
    Lady Lysa sedeva accanto al trono sotto il grande arazzo e aveva gli occhi lucidi.

    “Facile uccidere, te in armatura e io in catene, facciamo una cosa, io posso strappare il tuo collo con le mani, io sono la Mano Rossa, io sono il capo dei Bruciati. Tu togli i miei anelli di ferro e io strappo il tuo dalla tua testa anche subito.” Il gigante sembrava pronto per la sfida.
    “Non è con una rissa che il destino della Valle verrà deciso. Quello che ho pensato è più semplice. Come vedi alle nostre spalle ci sono due grandi rocce.
    La montagna su cui sorge questo castello è uno dei simboli della Valle, della sua gente.
    La gente di questi luoghi osserva immutata lo scorrere delle stagioni, l’affacciarsi di nuovi Dei e di nuovi Re, la Valle è parte dei Sette Regni ma è un regno a sé.
    Nido non è mai stato conquistato, gli uomini lo hanno protetto, la natura stessa lo ha protetto.
    Diventare Re della Montagna significa non solo diventare il signore degli uomini, essere la guida di grandi eserciti, ma significa anche portare il peso delle loro vite.
    Il peso dei ruscelli e boschi, di uomini e bestie, il peso di sentieri e delle rocce…. È proprio questa la mia sfida. Sarà il nuovo Re della Montagna chi riuscirà a spostare quelle pietre,” indicò le rocce alle spalle del barbaro facendo voltare lui e l’intera sala verso i due enormi blocchi di granito.
    “…il più lontano dal punto di partenza.” Concluse.
    Il brusio si diffuse per la sala, un sorriso sornione spuntò sulle labbra di Maestro Colemon come ennesima dimostrazione della sua arguzia.
    Lord Jon Arryn voltò le spalle a Timett e si diresse verso il trono, “Liberatelo. Che sia tu ad iniziare.”
    Lady Lysa guardò il suo sposo con sguardo assente, le sue labbra si mossero sussurrando “Mio figlio…povero Robert…” non parlava con nessuno in particolare, forse solo con il suo dolore.

    Due armigeri in livrea azzurra si avvicinarono a Timett, lui allungò le mani davanti a sè all’altezza dell’anca, facendo tintinnare le catene.
    Kail, il più giovane dei due soldati, figlio di Harbert Highfir, che serviva sotto Lord Egen nella guardia personale di Lord Arryn, si avvicinò con la chiave delle manette, si chinò sul barbaro e fece scattare la serratura liberando le mani del gigante.
    Come un lampo Timett stringendo entrambe le mani a maglio, portò un colpo carico di rabbia dal basso verso l’alto al viso di Kail.
    Il ragazzo cadde sulla schiena; il sangue che usciva dal naso, probabilmente rotto, iniziava ad inondare l’abito.
    Dalla sala si alzò un brusio, e dal fondo i più riconobbero la risata catarrosa di Mord, il carceriere.
    “Molto sciocco da parte vostra.” La voce di Jon riportò il silenzio.
    Il guerriero dei Clan si era chinato a raccogliere la spada del soldato ferito, ma appena aveva fatto per alzarsi si era trovato non meno di dieci lame puntate alla gola.
    “Ah ah Ah“ la risata, sembrò venire dal fondo di un pozzo “molto fragili le tue “rocce” Re.” L’unico occhio del barbaro fissò il Signore del Nido. “Basta una carezza e cadono subito. Timett voleva provare se ha ancora forza nelle braccia, dopo tutta quella cella.
    Voleva provare forza per il tuo gioco con i sassi. Timett non è molto in forza, la testa del tuo soldatino non si è staccata. Però Timett crede che sua forza può bastare.”
    Così dicendo con una mano e un gesto di noncuranza allontanò le spade come fossero mosche e si diresse verso le rocce.

    Le vene del collo parevano essere torrenti, i muscoli delle braccia erano madidi di sudore. Il petto nudo del barbaro sembrava il mantice di un fabbro, si gonfiava e si abbassava seguito dagli occhi languidi di più di una dama.
    Il gigante sbuffava, aveva puntellato un piede alla Porta della Luna e appoggiato una spalla alla roccia che colossale si ergeva davanti a se.
    Le nocche delle dita erano sbiancate nello sforzo.
    Erano passati alcuni minuti da che il gigante aveva iniziato a spingere e la roccia non si era spostata di un passo.
    D’un tratto con un fastidioso stridio però la roccia prese a muoversi.
    La sua corsa pareva inarrestabile, due righe solcavano i pavimenti di marmo bianco della sala e il suono era insopportabile...il suono che alcuni associavano alla disfatta, altri alla separazione di un figlio, altri ad un destino di schiavitù, e solo ad uno in tutta la stanza quel suono appariva come il canto di un Dio, il Dio della vittoria.
    Il colosso arrivò a tre metri dalla parete opposta, si fermò e con un grido disumano che sembrava quello di un animale braccato strinse la roccia in un abbraccio, la sollevò da terra e la scagliò contro la parete. Un rumore assordante e una pioggia di schegge esplosero nella sala; pareva il rumore di una terribile tempesta, una tempesta che avrebbe scosso la vita di tutti gli abitanti della Valle.
    Lady Goldbow svenne.
    Timett ansimante poggiò le mani sulle ginocchia, le braccia gli tremavano per lo sforzo. Nella sala era calato il silenzio, persino l’aria pareva immobile. Si poteva leggere la tensione sui visi dei guerrieri della Valle; l’impresa che il barbaro aveva appena compiuto aveva del leggendario, quell’uomo era forte come un orso, incarnava la forza stessa della natura, nulla sembrava poterlo sopraffare, nulla sembrava poterlo sconfiggere.
    “Bene, un’ottima dimostrazione di forza, davvero impressionante” la voce di Jon Arryn riportò la sala alla realtà “le voci che parlano della tua forza sono veritiere, anzi credo che sminuiscano il tuo valore, Timett figlio di Timett. Credo che pochi uomini nel Westeros possano rivaleggiare con te, persino Ser Gregor Clagane credo che…”
    “Tu parli perché paura, roccia non si sposta con tue parole. Forza vecchio tu prova a spostare sasso, così dopo io diventa Re e uccide te” Timett interruppe il discorso del Signore del Nido.
    Lord Jon si alzò dal suo scranno, ser Vardis gli si avvicinò e lo aiutò a slegare il mantello azzurro che gli copriva le spalle.
    “Mio Lord, non è necessario. Date l’ordine e i miei uomini sbatteranno di nuovo quel barbaro nel fondo di una cella, non è necessario che voi vi umiliate…” sussurrò il capo della guardia personale.
    “Ho dato la mia parola Ser Vardis, vi chiedo di riporre la vostra fiducia nelle mie scelte, come avete sempre fatto. Inoltre non chiederò ai nessuno dei miei uomini di rischiare la propria vita per un mio gesto di vigliaccheria…
    E poi, io vincerò.”
    Jon Arryn attraversò la sala camminando lentamente verso la roccia. Giunto a non più di un metro da essa si voltò verso il palco incrociando lo sguardo con i suoi cari.
    Lady Lysa era pallida e fissava il vuoto con un volto carico di disperazione. Ser Vardis era accanto al trono e quando gli occhi del suo lord incrociarono i suoi prontamente abbassò lo sguardo verso i propri calzari. Lo sguardo di maestro Colemon era rilassato, nei suoi occhi si vedeva l’ammirazione per il vecchio amico che si apprestava a compiere l’impresa.
    Lo aveva capito, Jon era sicuro che il Maestro aveva capito ciò che stava per accadere; un po’ gli dispiaceva, avrebbe voluto riuscire a stupire anche lui, ma si era dimostrato ancora una volte l’uomo più astuto della sua corte. Ricambiò la sua ammirazione e la sua intelligenza con un sorriso.
    Poi spostò lo sguardo sulla folla che riempiva la sala delle udienze. Sul viso dei suoi sudditi c’era terrore, cieca speranza, disperazione. Alcuni sorridevano, altri distoglievano lo sguardo, in altri si leggeva la determinazione, in altri la rassegnazione; una bambina bionda di non più di cinque anni lo stava guardando con meraviglia, come se fosse appena uscito da una delle storie che gli raccontava la nutrice prima di andare a dormire.
    Infine spostò lo sguardo sui cumuli di roccia ai piedi del suo avversario, lo alzò sino ad incontrare quello di Timett che seppur affiancato da quattro armati, era fiero e libero, era potente e disprezzante, era lo sguardo di chi sapeva di aver vinto.
    “Aprite la porta della Luna” Ordinò a voce alta Jon Arryn.
    Mentre due armigeri aprivano la porta verso il nulla, il lord si posizionò posando le mani sulla pietra rivolto verso il cielo grigio; l’aria gelida che gli sferzava la faccia era carica di fiocchi di neve.
    Nella stanza si diffuse un brusio concitato.
    “Vecchio, tu…” Timett fu azzittito da un colpo di lancia nel costato e uno sulla nuca, le lance dei quattro armigeri puntavano alla sua gola. Jon prese a spingere verso la porta aperta.

    La roccia non si mosse di un solo passo.

    Jon sentì pulsare il sangue nelle sue tempie, i polmoni bruciargli, il peso dell’armatura gli gravava sulla schiena.
    “Forse non era stata l’idea migliore indossare l’armatura” pensò con l’accenno di un sorriso sulle labbra.
    Il suo volto cambiò in una smorfia di dolore quando raccolse le sue forze e spinse con più rabbia.

    La roccia non si mosse di un solo passo.

    La mente di Jon corse a suo figlio Robert, piccolo e indifeso tra le braccia della mamma.
    Se non fosse riuscito a muovere quella roccia suo figlio sarebbe cresciuto senza un padre e senza sua madre. Avrebbe dovuto affrontare una lunga navigazione sino a Grande Inverno e sarebbe diventato il protetto di Ned come lui era stato il suo. La mente del Lord si lasciò andare ad un fiume di ricordi, quando Ned e Robert da piccoli si arrampicavano sulle pareti della Lancia del Ciclope, quando si sfidavano a duello tra la neve nel cortile di Cielo…il vento gelido carico di fiocchi di neve lo fece tornare in sé. Spinse con tutta la forza della disperazione.

    La roccia non si mosse di un solo passo.

    “Padre, ti prego, dammi la forza” la voce del Signore del Nido era un sussurro. Jon sentiva le forze venirgli meno attimo dopo attimo, forse aveva chiesto troppo al suo fisico, la risata di scherno di Timett feriva le sue orecchie e il suo animo. Non ce la faceva, non aveva forze sufficienti per spingere quella maledetta pietra oltre la soglia. Un fuoco sembrava bruciargli nei polmoni. “La gente della Valle, la mia gente sarà fatta schiava dai Clan della Montagna” pensava. Il ginocchio sinistro gli cedette e lui finì per inchinarsi davanti alla roccia.
    “Ho deluso tutti: mia moglie, i miei antenati, il mio Re…” Con guance solcate da lacrime calde Lord Arryn gridò tutta la sua determinazione, con energie che credeva non avere più si rimise in piedi e spinse la roccia con tutto se stesso.

    La roccia non si mosse di un solo passo.

    Jon era una statua. Le braccia tese, le mani appoggiate sulla roccia, non si capiva se fosse lui a cercare di spingere lei o lei ad aiutarlo a sorreggere il peso della sconfitta.
    Il vento che ululava all’esterno della fortezza inespugnabile si faceva largo nella sala, era un vento freddo, carico di neve.
    La testa e le spalle di Jon iniziavano ad essere ammantate di bianco, lui era immobile da un tempo che pareva infinito, sulla sala era sceso il silenzio.
    Il corpo di Jon non si muoveva, non sembrava neppure che respirasse; la sua mente era persa nei verdi prati della Valle degli Arryn, nei suoi sentieri, lungo il corso dei suoi ruscelli.
    Le rocce millenarie, le curve delle sue colline, le asperità dei suoi monti le cui cime si perdevano oltre le nuvole, il colore dei fiori in primavera che bucavano la coltre di neve, l’autunno che la infiammava di rossi e arancioni.
    Amava la sua terra. L’amava più di ogni altra cosa, l’amava dal profondo.
    Lord Arryn, stremato e sconfitto, si appoggiò con tutto il corpo alla roccia. Non era la valorosa spinta di un eroe, non c’era la forza ormai svanita dalle sue membra; in quel gesto c’era il rimpianto, c’era l’amarezza di aver perduto tutto, c’era la consapevolezza della fine.

    E accadde.
    La roccia si mosse in avanti.

    Un’espressione incredula si dipinse sul viso dell’ uomo, che nulla aveva dell’eroe delle leggende, ma pareva un vecchio sul ciglio della vita.
    La roccia si muoveva sotto il suo peso, sotto la sua leggera spinta.
    Jon spinse con più decisione e la roccia iniziò a scorrere dolcemente verso la porta spalancata. Il Lord avanzò di un passo e scivolò mettendo un ginocchio a terra, il pavimento era coperto di acqua, neve e ghiaccio, ecco perché la roccia si muoveva, lui era ormai battuto, sconfitto e la sua Valle era corsa in suo aiuto, gli si era messa accanto come una vecchia amica, come una vecchia amante, pronta a porgergli la mano per aiutarlo ad alzarsi. Eccola lì la sua Valle, il vento, il respiro stesso della Valle riempiva il suo essere, rigenerava le sue forze; la Valle aveva reso possibile la sua impresa, aveva reso sicuro il suo cammino, aveva tolto le difficoltà dalla sua strada, Aveva trasformato la sconfitta in vittoria, aveva trasformato il dolore in gioia, la morte nella vita.
    Lui era la Valle e la Valle era lui, una sola cosa, una sola anima.
    “AAAARRRRRRRRRRRRGGGGGGHHHHHHHH!” Un urlo che parve il frastuono di una frana, gli occhi chiusi, il capo gettato all’indietro le braccia tese e la roccia che cadeva nel vuoto…
    L’esplosione di gioia della sala si fuse alla sua, applausi, risa, giubilo; ovunque c’erano persone che esultavano, che si abbracciavano, che si liberavano festosamente dell’ansia che aveva cinto loro il petto.
    Maestro Colemon e Yhon Royce si avvicinarono al loro Lord.
    Jon li fermo con il cenno di un mano, poi si voltò verso Timett e chiese silenzio nella sala.
    Ci volle qualche istante perché la quiete tornasse.
    “Timett figlio di Timett degli Uomini Bruciati, ti ho sfidato e ti ho sconfitto” Disse Lord Arryn con voce ferma; la stanchezza parve essere scomparsa dal suo corpo. “Ora io, Jon Arryn, figlio di Jasper Arryn, sono la Mano Rossa, sono il capo clan degli uomini Bruciati…”
    “Vecchio, tu hai ingannato me. Tu no essere più forte di Timmet” lo interruppe il barbaro, picchiandosi un pugno sul petto “Tu dai a me spada e io dimostro a te chi è più forte, vecchio” continuò avanzando verso il Lord in armatura.
    Due guardie fecero per frapporsi tra i due, ma Jon le fermò.
    Il gigante aveva raggiunto ormai l’altro uomo sulla soglia del baratro.
    “Io non ti ho ingannato; la mia roccia si trova molto più distante dal punto di partenza rispetto alla tua” e inaspettatamente rapido e inatteso afferrò il braccio del barbaro e lo tirò con forza spingendo l’uomo oltre il baratro anche grazie al pavimento scivoloso.
    Alcune dame urlarono nella stanza.
    Lord Jon era inginocchiato, aveva una mano artigliata allo stipite della porta e l’altra allungata nel vuoto oltre la soglia della porta della Luna.
    “Allora, Timett, la vedi la roccia o vuoi che ti lasci andare per controllare meglio?” Disse Jon mentre sorreggeva il barbaro.
    “Io vede, io vede, tu hai ragione vecchio” gridò il barbaro che con una mano stringeva quella di Jon e con l’altra si aggrappava ad una roccia della parete scoscesa.
    “Aiutatemi a tirarlo su” Ordinò Lord Arryn.
    Yhon Royce e due armigeri riuscirono a issare il gigante.
    Per la prima volta il volto di Timett parve scosso. Era inginocchiato e aveva i palmi a terra, il respiro affannato e la testa china.
    “Tu non potere essere Mano Rossa,” disse d’un tratto il barbaro delle Montagne della Luna riacquistando la posizione eretta e lo sguardo fiero, “tu non essere Uomo Bruciato”.
    “A questo si può facilmente porre rimedio. Maestro Colemon, volete essere così gentile.”
    Il maestro si fece avanti, estrasse la daga e la pose sul braciere accanto alla porta.
    Quando la lama iniziò ad arrossare avvolse l’elsa con un panno che aveva bagnato dalla pozza che c’era sul pavimento, la estrasse dal fuoco e la porse al suo Lord.
    Jon prese l’arma con la mano della spada e posò la lama sbiancata dal calore sul dorso della sua mano sinistra, si udì lo sfrigolio e l’odore acre della carne che bruciava. Non un solo lamento usci dalla bocca di lord Arryn, non un solo tremore, ne un ripensamento.
    Immobile, ritto e fiero nella sua armatura di anelli bianchi, con l’aquila di zaffiro sul petto e la corona del Re della Montagna a cingergli in capo nella luce della Valle che entrava dalla Porta della Luna, Lord Jon Arryn sembrava uscito da una leggenda. Anzi, era una leggenda.
    Le sue imprese sarebbero state cantate alle generazioni future.
    “Mano Rossa, gli uomini bruciati sono tuoi, combatteranno per te” la voce di Timett era carica di rispetto.

    Il sole illuminò la Valle diffondendo un caldo bacio rossastro. Tutto parve incendiarsi: le piante, le rocce, l’aria stessa.
    Ogni uomo avrebbe potuto godere di questo spettacolo a cuor sereno, senza timore; l’ultimo dei draghi Targaryen era appena morto nel Nord, il fuoco del cielo non avrebbe mai fatto più paura.


    NEL GIOCO DEL TRONO:
    Lord ROBERT BARATHEON




    CRONOLOGIA PG:
    - Nella seconda partita: Styr un Uomo Libero!!!
    - Nella terza partita: Re Jon Arryn, Signore del Nido dell'Aquila,Protettore della Valle e dell'Est. Primo cavaliere, Protettore delle terre della tempesta e signore di Capo Tempesta,Sangue dei Re delle Montagne.
    - Nella quarta partita: Tywin Lannister, morto nelle sale del dio Abissale, ultimo Re sul Trono di Spade. Distruttore del mondo.
    - Nella quinta partita: Tormund "Orso Bianco" Re Oltre e sopra la Barriera, Gran Maestro Guaritore, uomo libero
    - Nella sesta partita: Quellon Greyjoy Sommo Sacerdote,Lord Mietitore delle isole di Ferro, Principe di Lancia del sole, signore di Castel Granito, protettore del Mare(ex protettorato di Dorne) e dell'Occidente


    CITAZIONI
    "Sono stata Arya di casa Stark, Arya Piededolce, Arya Faccia da cavallo.Sono stata Arry e la Donnola, Squab e Salty, Nan la coppiera, un topo grigio, una pecora, il fantasma di Harrenhal...cat, la gatta...nessuno!"
    "Quando cade la neve e soffiano venti ghiacciati, il lupo solitario muore, ma il branco sopravvive"
  • Jon_Re
    00 01/01/2013 01:50
    Complimenti per il pdv, la parte centrale ha il giusto ritmo incalzante che conduce poi al tranquillo finale.
  • OFFLINE
    Beric87
    Post: 231
    Registrato il: 31/12/2010
    Età: 37
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    Lord Feudatario
    00 01/01/2013 11:32
    Gran bel lavoro yuri, per un attimo mi sono ritrovato nuovamente nei panni di Nestor, a seguire con ansia l'impresa del mio re!



    Lord Jason Mallister, Signore di Seagard e Castel Granito, Alfiere di Lord Edmure Tully, Maestro del Conio, Protettore dell' Ovest.


    Nella terza partita: Lord Nestor Royce Alto Attendente della Valle, Custode delle Porte della Luna, Comandante della Guardia Reale di Sua Eccellenza l' Imperatore Hoster Tully I