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Pino Lupo il 3/01/2008 17.26
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Nella mia lettera del marzo 1992, in cui mi dissociai (dimissioni) da una "comunità religiosa", quella dei tdG, che consideravo, ormai, solo una "organizzazione commerciale", scrissi, nelle ultime battute: "Prima che mi tagliate la testa, tolgo la testa dalla ghigliottina".
Mi devo congratulare con Marco Piccioni, perché ha la "testa" ancora sul collo.
Infatti, la mentalità della "decapitazione" risale a Robespierre.
La ghigliottina che usò con abbondanza simbolizzava, secondo il filosofo Hegel: "che tutte le teste individuali dovevano essere troncate, perché trionfasse solo la volontà generale, ossia la virtù".
La volontà individuale, per le comunità religiose "totalitarie", è considerata delittuosa nello spirito, una patologia che desta sospetti, per cui va "ghigliottinata" prima che "infetti" la "volontà generale" di persone irregimentate.
Come Robespierre, certe "comunità" si considerano "incorruttibili".
Sta di fatto, che milioni di persone sono addestrati a controllare gli "individualisti", le "menti libere", per verificare se "delinquono".
Una giustizia extracristiana animata dal senso di agire in nome della "santa organizzazione" di Dio.
Così, questo atteggiamento poliziesco mira a disciplinare, punire e penalizzare tutte le volontà individuali che non si sono ancora piegate alla "volontà omologata", quella generale cui tutti si devono conformare.
Un uomo, come Marco Piccioni, che in questi ultimi due anni e due mesi si è trovato nella situazione drammatica di vedere scomparire il padre, Emo Piccioni, sequestrato da mani criminali e che, da allora, vive e cerca di campare fra mille ostacoli legali e personali, è stato bollato, per definizione, come "apostata".
Molti, come Marco, se non sono ancora stati "discriminati" è perché non sono stati ancora "scoperti".
Ma sono in libertà provvisoria e vigilata.
Tutti coloro che hanno una "testa" individuale, sono per forza "nemici della verità" e devono essere "ghigliottinati".
Sono fiero di essere socio di Marco, Luigi, Gianluca e del mio coetaneo Vito, per una causa che può certamente restituire dignità, rispetto e libertà di pensiero (senza essere discriminati) a tutti.